🎬 Il quinto elemento

Una congiunzione provoca l'apertura di un varco attraverso cui una forza penetra nel nostro universo. Gli antichi egizi lo sapevano, ed anzi erano i custodi dell'arma capace di arrestarla, basata sulla fusione dei quattro elementi primari: terra, acqua, fuoco e aria, e di un quinto elemento. Ma agli inizi del ventesimo secolo scendono sulla Terra i Mondoshawan, esseri superiori e benefici che portano via l'arma, promettendo di restituirla. Il momento arriva nel 2259, quando il passaggio si riapre e l'universo è di nuovo minacciato. I Mondoshawan rispediscono sulla Terra l'arma con il quinto elemento, l'amore, incarnato in Leeloo, ma l'astronave viene intercettata e distrutta dai Mangalore. Fortunatamente dal relitto vengono estratti resti sufficienti a clonare la ragazza, ma la nuova Leeloo non ricorda nulla di sè nè del compito che l'attende. Fuggendo si imbatte nel tassista Korben Dallas, che l'aiuterà a recuperare gli altri quattro elementi e a salvare il mondo.

Quello dell’archeologo non sempre è un mestiere privo di pericoli, ma sicuramente è una professione che assicura sorprese e soddisfazioni. Infatti, è proprio con la scoperta di un’antica iscrizione che inizia il film in questione e il luogo del ritrovamento è, al solito, il misterioso Egitto. La parete di pietra narra la storia dell’eterna lotta fra il bene e il male, che ogni 5000 anni tornano a sfidarsi per contendersi la posta in palio, ossia il destino dell’universo. L’inizio della battaglia viene preannunciato, ogni volta, dalla comparsa di un buco nero nelle profondità dello spazio, poiché esso rappresenta il varco attraverso cui le forze maligne giungono nella nostra dimensione. Tuttavia, l’esercito del bene ha costruito un’arma in grado di annientare per sempre la minaccia oscura. Sfruttando gli alchemici poteri dei quattro elementi, racchiusi in altrettanti blocchetti di pietra, essi hanno dato vita al supremo essere, capace di fondere dentro di sé le quattro forze della natura, generando così un raggio energetico d’immane potenza. Costui è il quinto elemento. Trecento anni dopo il ritrovamento archeologico, avvenuto nel 1914, la flotta stellare terrestre si ritrova a combattere un’ignota minaccia: un planetoide è apparso dal nulla e, ad ogni colpo ricevuto, le sue dimensioni aumentano vertiginosamente. A complicare le cose, inoltre, l’astronave dei Monnochiuan, il popolo che realizzò l’arma secoli prima, viene distrutta da un gruppo di mercenari al servizio dello spietato Zorg, deciso a rubare le pietre degli elementi. Dai resti della nave aliena viene recuperato solo un frammento organico carbonizzato, le cui cellule hanno un corredo genetico molto più complesso e completo di quello umano. Grazie ad una tecnologia avanzatissima, gli scienziati terrestri riescono a ricreare il corpo originario dal pezzo ritrovato e, con loro grande sorpresa, si trovano innanzi ad una donna dai capelli rosso fuoco e dagli occhi azzurro cielo. Nei panni della donna-arma, la bella e sensuale Milla Jovovich, ancora lontana dalla popolarità di Resident Evil, riesce a gestire con eleganza il ruolo assegnatole e non è un reato considerarla la vera protagonista del film. Più marginale, anche se non troppo, è, infatti, il personaggio di Bruce Willis, quel Corben Dallas che si ritrova, da tassista qual’era, a dover salvare l’universo assieme e padre Cornelius. La trama avrebbe tutte le carte in regola per fare de Il Quinto Elemento un grande capolavoro, ma non sempre il regista-scrittore Luc Besson riesce a mantenere alto il livello della pellicola. Quasi imbarazzanti sono, ad esempio, i costumi dei mostri-mercenari che ricordano quelli dell’intramontabile Fantaghirò. Certo che nel 1997 non si poteva contare ancora sulla grafica digitale dei giorni nostri, alla quale pellicole come Final Fantasy e Star Wars ci hanno abituato. Sarebbe stata una scelta migliore quella di truccare direttamente gli attori, come avviene nella serie Enterprise di Star Trek, in modo da rendere più realistico il tutto. Un’altra pecca che si può trovare, ma è tipica della gran parte dei film statunitensi, è quella di risolvere le situazioni drammatiche sempre negli ultimi cinque o dieci minuti, come nel caso della bomba nell’albergo o della distruzione del planetoide alla fine. Non sempre, infatti, questa tecnica cinematografica riesce a creare la voluta suspense, poiché in alcune scene (si parla dei film in generale) l’esito dell’azione diventa scontata e prevedibile. Bisognerebbe rivalutare il pubblico, innanzitutto! A parte questa disquisizione sulla sconfinata fortuna dei personaggi, la scelta degli attori principali è risultata assai giusta. La Jovovich con la sua femminilità e Willis con la sua tempra da guerriero (film d’azione ne ha fatti a valanga!) s’inquadrano bene nella sceneggiatura finale. La scelta di sfruttare ancora una volta l’antico Egitto è, probabilmente, poco saggia, perché, sebbene i misteri che circondano questa civiltà siano numerosi, è pur vero che il paese delle piramidi abbia fatto da sfondo a tante storie e, forse, è giunto il momento di cambiare aria (la civiltà Maya non è da meno in quanto a misteri a quella di Ramses). Molto belli gli effetti speciali finali, allorché vengono aperti i quattro blocchetti e ne fuoriesce il potere degli elementi, ciascuno con il proprio colore. Il messaggio del film (che costituisce una sorta di morale) potrebbe essere considerato banale, ma ha il uso fascino e, dopotutto, dice il vero: solo con l’amore, inteso in tutte le sue forme, si può sconfiggere il male. In fondo, questa frase dovrebbe essere conosciuta molto di più, sia fra la società che fra i capi del nostro mondo.